Export agro-alimentare: il gusto, oggi, passa (anche) dal web

Il digitale cambia il paradigma per l’agro-alimentare made in Italy, perché apre le porte dell’export anche a piccoli produttori che grazie al web non solo possono promuovere i propri prodotti con investimenti scalabili, ma anche trovare distributori e buyer e, soprattutto, strutturare una rete distributiva “a misura di PMI”.

26 maggio 2022

Il digitale cambia il paradigma per l’agro-alimentare made in Italy, perché apre le porte dell’export anche a piccoli produttori che grazie al web non solo possono promuovere i propri prodotti con investimenti scalabili, ma anche trovare distributori e buyer e, soprattutto, strutturare una rete distributiva “a misura di PMI”.

Esportare, infatti, non è una operazione neutra rispetto alla struttura organizzativa ed alla capacità produttiva dell’azienda, la quale dovrà sia analizzare la propria effettiva potenzialità sui mercati esteri sia ideare un percorso di export che passi dai canali adatti alla sua offerta e dimensione.  

Marketplace settoriali e sezioni dedicate al made in Italy

L’agro-alimentare è un comparto con una serie di specificità che vanno dalla compresenza di piccoli e grandi produttori che competono anche in termini di export, ed una forte componente della GD e GDO quale mercato di sbocco; le logiche di approvvigionamento della distribuzione organizzata naturalmente determinano una serie di variabili tra cui volumi di acquisto, timing di consegna, prezzo di sell-in, che non sempre la PMI riesce a garantire.

Il digitale offre la potenzialità di ampliare la tipologia ed il numero dei buyer e delle aziende clienti (che possono includere l’horeca e negozi specializzati), offrendo dunque alle PMI la possibilità di studiare una strategia di export più adatta alla capacità produttiva ed alla competenza organizzativa di una realtà più piccola ma spesso portatrice di eccellenze.

I marketplace settoriali hanno un posizionamento diverso l’uno dall’altro: Agrelma è una piattaforma di e-commerce B2B, specializzata in agro-alimentare e con un focus importante sul vino; vi sono poi piattaforme specializzate per Paesi specifici come Bravo Italy Gourmet, che copre Arabia Saudita, Kuwait, Oman, UAE, ed è adatto a piccoli produttori; ancora, citiamo Emerge, una startup foodtech italiana focalizzata sul segmento ristoranti/ catene di supermercati/ gourmet shop che si auto-definisce “aeroporto digitale” in quanto contestualizza l’esperienza digitale del buyer con il supporto della narrazione del territorio di provenienza dei prodotti (in 15 lingue). Vi sono poi piattaforme più tecniche, come Agrieconomie, marketplace B2B dedicato agli agricoltori.

Sui marketplace generalisti, inoltre, si trovano talora sezioni specializzate per settore e per provenienza geografica dei prodotti: è il caso di Amazon Made in Italy, vetrina specializzata strutturata in accordo con Ice, che valorizza le produzioni agro-alimentari italiane nella sezione dedicata al settore; lo stesso fa Tannico, marketplace specializzato in vino che sempre in accordo con Ice ha anche attivato un programma agevolato per 400 aziende italiane interessate a promuovere i propri prodotti verso 18 Paesi nel mondo.

Ai marketplace si aggiungono i vendor digitali, “boutique” del web con una proposta selezionata ed una focalizzazione su una determinata area geografica, generalmente di raggio limitato.

Modelli distributivi: come cambiano con il digitale per l’agro-alimentare

La possibilità di promuoversi mediante le piattaforme di vendita digitale cambia il paradigma: l’azienda ha la possibilità di gestire l’ingresso in un mercato estero di sbocco con diverse modalità, sia attraverso importatori e distributori, sia con un piano di vendita gestito direttamente mediante marketplace e/o e-commerce proprietario; in realtà, più spesso l’azienda esportatrice utilizzerà entrambi i canali, oppure distinguerà per Paesi-obiettivo in quali entrare mediante intermediari e partner commerciali ed in quali tramite i canali digitali.

In sostanza, con il digitale ai canali distributivi “tradizionali” si sono affiancati i nuovi canali digitali: tra le due opzioni vi sono sia affinità che differenze, ma certamente la leva competitiva di maggior impatto è il maggior grado di accessibilità del digitale anche per la PMI (sebbene poi la gestione dei canali di vendita e di distribuzione digital comporti impegno e, spesso, nuove competenze sia linguistiche che gestionali) che ha modo di caricare una parte del catalogo sui marketplace con modalità scalabile ovvero mediante allocazione di budget iniziale che può essere incrementato o diminuito anche dopo un periodo limitato di tempo in base ai risultati non soltanto di vendita ma di visite delle schede prodotto caricate e delle relative interazioni, e lo stesso dicasi degli investimenti sui motori di ricerca per far confluire traffico web sulle proprie piattaforme ivi compresa quella di e-commerce se presente, ovvero degli accordi con i vendor digitali per vendite in dropshipping.

Il punto di attenzione, semmai, è costituito dalla compresenza nella strategia di export verso un determinato Paese-obiettivo dei canali tradizionali e di quelli digitali: se l’azienda ha uno o più distributori nel Paese A, allora ogni azione di promozione e vendita digitale potrebbe dover essere comunque girata al distributore in termini di finalizzazione; dunque, va stabilito “chi fa che cosa” sia in termini di comunicazione sul web (includendo ad esempio anche le piattaforme social ed i forum tematici) sia in termini di vendita online (dai marketplace ai vendor, sino al sito corporate e/o e-commerce del distributore/ partner commerciale), e si devono prevedere le clausole del caso nel contratto di distribuzione.

Il ruolo dei piccoli distributori specializzati, e perché aiutano a sostenere il prezzo

La PMI, in ragione di una capacità produttiva generalmente meno ampia di realtà più strutturate e dunque frenata in questo senso dal proporsi alla distribuzione organizzata che richiede volumi importanti e spesso incrementali negli anni se la referenza incontra il favore del pubblico, ha una capacità competitiva che va orientata verso clienti con richiesta di forniture per volumi inferiori; questo non significa servire solo realtà piccole, si pensi al caso delle catene di ristorazione ovvero delle catene di negozi specializzati, per le quali i volumi di fornitura sono pensati per assortimenti specializzati e dunque con esigenze basate più su qualità e distintività del prodotto. Dunque, la PMI deve indagare circa la potenzialità dei segmenti horeca, catene specializzate, locali specializzati quali wine-bar e gourmet shop: la strategia di distribuzione per arrivare a questa tipologia di clientela passa necessariamente da distributori a loro volta specializzati nei segmenti indicati, e quasi sempre si tratta di piccoli distributori che nel tempo hanno conquistato un posizionamento distintivo (negli Usa, ve ne sono alcuni nell’agro-alimentare che ormai influenzano le aree che servono relativamente a quali prodotti italiani proporre nei locali/ negozi che servono, sono vere e proprie “istituzioni” per clienti/buyer).

Il vantaggio principale del piccolo distributore, o più propriamente del distributore specializzato per segmenti serviti, è il fatto che in genere scelgono produttori di media ed alta gamma, selezionano i prodotti in termini di distintività soprattutto verso quanto già proposto dalla distribuzione organizzata; questo permette di potersi proporre anche per piccole produzioni, e soprattutto di potersi concentrare sui prodotti di alta qualità dunque a maggior valore aggiunto, ovvero di poter sostenere il prezzo (e la marginalità). Certamente va tenuto presente, dall’altro lato, che un distributore specializzato che abbia una buona clientela ha comunque un alto potere negoziale, dunque anche in questo caso occorrerà negoziare con attenzione le condizioni di fornitura esattamente come avviene con i buyer della distribuzione organizzata.   

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